La recensione/ “Una Compagnia di Pazzi” di Antonio Grosso

Il regista di “Minchia Signor Tenente” torna a Pace del Mela con il suo nuovo spettacolo tragico e dolcemente comico insieme, sospeso nel tempo e dalla realtà, una realtà lontana e quanto mai vicina ai nostri giorni.

Ambientato verso la fine dell’ultima guerra, con lo strisciante ancora pericolo nazista, in un paesino sperduto della Basilicata si regge un manicomio gestito da due fratelli Armando e Francesco, con tre malati di mente che insieme si amalgamano come fossero una stessa realtà; si amalgamano le condizioni di dolore dei due gestori infermieri che governano questo manicomio come fosse una famiglia, pur avendo fuori la propria di famiglia: Francesco ha una moglie incinta e una bambina di tre anni, da cui non stacca il pensiero… La scena si svolge in un luogo fatiscente, in mezzo agli stenti per procurarsi da vivere dove ogni settimana ricevono la visita di un crudele e abietto direttore.

Nello scenario realisticamente povero e sporco i cinque protagonisti, ciascuno con le proprie note caratteriali , proveniente da una paese diverso, sembrano una compagnia mitteleuropea ,ciascuno con l’armonia della loro lingua che diventa canto e allegria .Essi non hanno perso il candore e il senso dell’amore; angeli che si tendono le braccia per volare con la fantasia sulle brutture di questo mondo e Natalino aspetta la neve , quasi come il candore che possa seppellire quella tragedia, Benni non perde la smania di pulire , anche lui con il desiderio inconscio di cancellare lo sporco… tutti subiscono le violente angherie del direttore…

Il Dramma si sviluppa in una trama di contrasti, in un’attesa di fine dagli spari e dal tonare di bombe che ancora imperversano, eppure in quell’assurda esistenza i cinque protagonisti pensano e non perdono la speranza di poter fuggire, la speranza di libertà.

Natalino trova di nascosto la cassaforte del direttore e la combinazione che potrebbe essere la soluzione per una nuova vita.

I fatti si susseguono con frenesia e lo spettatore è coinvolto appieno in questo tragico sviluppo, ma la commozione va oltre, il pensiero va al dolore e alla morte che ogni guerra ha generato e genera.

Sfido che ci sia stato uno del pubblico che non abbia pianto trasportato nel tragico scenario della guerra di allora… di oggi.

Antonio Grosso è riuscito ad esprimere con il suo lavoro la funzione educativa del Teatro, in questo caso contro l’insensatezza della guerra, e quella catartica attraverso la bellezza, la purezza dei protagonisti, cui guerra e follia non hanno inquinato l’animo in un’ondeggiante interpretazione pirandelliana e brechtiana del teatro.

Tutti risultano vittime e eroi, anche il crudele direttore, a riprova che la guerra con i suoi crimini è capace di operare una metamorfosi dell’individuo, spogliandolo dell’epidermide di Umanità.

Il tragico epilogo, inesorabilmente logico, è quasi una toccante liberazione… mentre la neve cade copiosa a seppellire il male.

Antonio Grosso regista e interprete, gli attori tutti sono stati superlativi, come la scenografia minimale e di grande effetto, i costumi poi hanno trasmesso quel senso di povertà e di abbandono inaccettabile che torna ai nostri occhi nelle scene delle guerre dei nostri giorni.

 

              Rita Chillemi

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